Giorgio Bardelli
naturalista
Storia di una goccia d'acqua
In una tranquilla domenica pomeriggio, che portava con sé la prima afa ristagnante di fine giugno, nel lavandino di una cucina qualunque avvenne un fatto straordinario: dal rubinetto non ben chiuso cadde una goccia d’acqua.
Le conseguenze furono altrettanto straordinarie, ma per comprenderne la portata e apprezzare la complicata concatenazione degli eventi che ne derivarono è necessario raccontare la storia passo dopo passo.
Alimentata da un impercettibile flusso d’acqua, la goccia si era ingrandita gradualmente sull’orlo del rubinetto, fino a quando, in un preciso ma imprevedibile istante, la sua massa fu tale da vincere la tensione superficiale che la manteneva vincolata al metallo. Si potrebbe anche dire che la reciproca attrazione elettrostatica delle molecole d’acqua non fu più sufficiente, a un certo punto, per sostenerne il peso complessivo. Volendo continuare a descrivere il fenomeno in termini classici, non relativistici, si può dire che la forza di gravità finì per staccare la goccia dal suo supporto e iniziò a trascinarla verso il basso.
Ci si potrebbe chiedere per quale motivo la goccia presentasse una forma allungata nella direzione del suo moto, ma la risposta a questa domanda sembra non banale. Infatti, si potrebbe supporre che la resistenza dell’aria dovesse, al contrario, schiacciare la goccia nella direzione del moto. Si può ipotizzare che, nel breve lasso di tempo della sua caduta, la goccia semplicemente non abbia fatto in tempo a modificare la forma allungata che aveva assunto nel corso della sua crescita, a causa del suo stesso peso, mentre era appesa al bordo del rubinetto.
La goccia, cadendo, si avvicinò rapidamente alla sua immagine riflessa nell’acqua che riempiva il lavandino.
La traiettoria di caduta fu di circa 24 centimetri. Con un’accelerazione di gravità di 9,8 metri al secondo per secondo, trascurando la resistenza dell’aria, si calcola che la goccia raggiunse la superficie dell’acqua sottostante in poco più di 0,22 secondi, alla velocità di circa 2,16 metri al secondo, corrispondenti a circa 7,77 chilometri orari.
A un certo istante la goccia toccò la superficie dell’acqua e l'impatto produsse un sottile anello di schiuma bianca.
Si valuta che la goccia avesse un diametro di circa quattro millimetri e quindi, ammettendo per semplicità di calcolo una forma sferica (cosa che rappresenta, come abbiamo visto, una semplificazione) un volume di circa 33,5 millimetri cubi. Con una densità dell’acqua approssimata a 1 grammo per centimetro cubo, la massa della goccia si può calcolare indicativamente in 0,0335 grammi. Considerando la velocità di impatto con la superficie dell’acqua, l’energia cinetica della goccia in quel momento fu di circa 7,8 centomillesimi di joule.
La goccia cominciò a penetrare nella superficie dell’acqua, facendo schizzare via lateralmente decine di minutissime goccioline, a una velocità superiore a quella di caduta (lo si deduce dal fatto che nella fotografia accanto appaiono mosse, a differenza della goccia in caduta libera). Iniziò così a dissiparsi l’energia cinetica posseduta dalla goccia al momento dell’impatto. Per un brevissimo intervallo di tempo la superficie superiore della goccia rimase visibile, attorniata da una corona di piccoli schizzi, mentre l’estremità inferiore affondava iniziando a fondersi con l’acqua circostante. Ma questo è soltanto l’inizio della storia.
Sulla superficie si formò un’onda circolare, come avviene ogni volta che un oggetto cade nell’acqua. L’onda si sollevò molto rapidamente in un muro d’acqua a forma di corona il cui bordo superiore, perturbato dalle variazioni locali di energia cinetica e di tensione superficiale, si sfrangiò irregolarmente rompendosi in una serie di minutissime gocce. La corona si espanse a grande velocità, in una apparente confusione di onde di superficie, protuberanze del bordo, schizzi e decine di goccioline sferiche proiettate nell’aria. Queste ultime ricaddero generando ulteriori serie di onde circolari e bolle galleggianti, ma senza produrre altre corone a causa della loro insufficiente energia cinetica.
Appare interessante la quasi perfetta sfericità delle goccioline più piccole, derivate dagli schizzi iniziali e dallo sfrangiamento del bordo superiore della corona. Essendo le gocce molto minute, il loro rapporto superficie/volume molto elevato diede modo alla tensione superficiale di agire con grande efficacia e velocità, producendo forme sferiche nel pur brevissimo tempo di volo.
La tensione superficiale agì intanto anche lungo il bordo della corona, smussandone le protuberanze e arrotondandone l’orlo.
La corona fu ovviamente sottoposta, oltre che all’azione della tensione superficiale, agli effetti della forza di gravità. Cominciò quindi a collassare sotto il proprio peso, frenata nella sua espansione in senso radiale dall’inerzia dell’acqua circostante e dalla tensione superficiale. Nel frattempo la tensione superficiale aveva arrotondato e ispessito l’orlo della corona. Essendo più libero di muoversi sotto la spinta dell’energia cinetica iniziale, l’orlo si rivoltò all’esterno, mentre la base della corona cadde verticalmente.
L’afflosciamento della corona produsse verso l’esterno un’ulteriore serie di onde superficiali, di moderata lunghezza. All’interno della corona si era nel frattempo prodotta una situazione che non avrebbe potuto durare a lungo: un vero e proprio buco nell’acqua. Questa configurazione assai instabile dovette inevitabilmente evolvere ancora, verso un equilibrio.
Lungo il bordo esterno, dal profilo ormai poco rilevato, piccole onde circolari dissipavano una parte dell’energia cinetica del sistema. La parete interna del cratere si presentava invece alquanto ripida, costituendo con il suo accentuato dislivello una riserva di energia potenziale, accumulata grazie a una parte dell’energia cinetica della goccia caduta. La parete del cratere cominciò quindi a collassare verso il centro.
L’effetto di questo movimento convergente fu quello di concentrare in una piccola zona centrale l’energia potenziale dapprima distribuita lungo il bordo del cratere. Il risultato fu quindi il sollevamento della zona centrale a un livello molto più elevato rispetto a quello del bordo: si formò una vera e propria colonna d’acqua. La superficie della colonna era modellata dalla tensione superficiale, la quale impiegò un certo tempo per riuscire a smussare le iniziali irregolarità prodottesi nel tumultuoso innalzamento.
Al termine del sollevamento però la colonna risultò arrotondata, sia nella sua sezione orizzontale che nel profilo sommitale, mentre la superficie dell’acqua circostante, ormai quasi priva di energia meccanica, era solo debolmente increspata da onde residue di altezza modesta. Naturalmente la nuova situazione era più instabile che mai: la forza di gravità e la tensione superficiale non potevano permettere che la colonna d’acqua resistesse a lungo. La gravità e la tensione superficiale unirono le loro forze nel trascinare la colonna verso il basso. Ma la tensione superficiale ebbe un ulteriore effetto: essa non poteva consentire la persistenza di una simile forma allungata, troppo distante da una conformazione sferica. La tensione superficiale agì quindi in modo da rompere la colonna in porzioni più corte e geometricamente più vicine a configurazioni sferiche. Così, mentre la forza di gravità trascinava tutto verso il basso, la tensione superficiale produsse un irregolare restringimento del diametro della colonna. In alcuni punti la riduzione del diametro fu più evidente, con la conseguente formazione di porzioni la cui forma si avvicinava man mano a quella di una sfera. Naturalmente, il compito di produrre una sfera era più semplice e rapido all’apice della colonna, avendo esso un profilo già arrotondato all’estremità.
La parte mediana della colonna diminuì sempre più di diametro, fino a spezzarsi nel punto più sottile. La parte inferiore della colonna interrotta venne allora trascinata velocemente verso il basso dall’azione congiunta della gravità e della tensione superficiale. La parte superiore, staccata dal resto, fu modellata dalla tensione superficiale in una nuova goccia che cadde meno velocemente, in quanto trascinata verso il basso dalla sola gravità. Le sue dimensioni erano paragonabili a quelle della goccia iniziale caduta dal rubinetto, ma la sua caduta avvenne lungo un dislivello di meno di tre centimetri: la maggior parte dell’energia cinetica era ormai dissipata, così questa nuova goccia non ebbe la possibilità di creare nuove conseguenze spettacolari.
Essa si limitò a produrre, cadendo, un piccolo cratere sulla superficie dell’acqua, presto livellato dalla forza di gravità e dalla tensione superficiale senza ulteriori conseguenze, a parte un’ultima serie di onde circolari che dissiparono l’energia cinetica residua. Le ultime goccioline ancora in volo si depositarono sulla superficie dell’acqua senza grandi sconvolgimenti, le onde si attenuarono e di tutto l’accaduto non rimase altra traccia che un piccolo aumento della temperatura dell’acqua: l’energia cinetica della goccia caduta dal rubinetto era finalmente stata dissipata, contribuendo all’aumento di entropia dell’universo.
Nel frattempo, una nuova goccia si era formata sull’orlo del rubinetto. Anch’essa cadde producendo una nuova serie di drammatiche conseguenze. Numerose altre gocce seguirono. Ciascuna di esse produsse una serie di fenomeni analoghi a quelli descritti, ma l’andamento non fu mai identico. L’enorme numero di molecole d’acqua coinvolte, dello stesso ordine di grandezza del numero di Avogadro N = 602204500000000000000000 circa, insieme alla particolare combinazione, di volta in volta differente, delle innumerevoli interazioni elettrostatiche e gravitazionali di ciascuna molecola rispetto a tutte le altre, determinò ogni volta lo sviluppo di eventi che, sebbene sempre simili a grandi linee, nei particolari furono sempre diversi e statisticamente irripetibili.
Ad esempio, la forma della corona non fu mai esattamente uguale, mentre la colonna fu a volte ramificata oppure non si ruppe nello stesso modo, o non si ruppe affatto. Per quanto possa apparire un fenomeno semplice, l’effetto della caduta di una goccia d’acqua non è un fenomeno perfettamente riproducibile nei dettagli. Due gocce d’acqua in caduta libera non sono mai uguali.
Le due fotografie successive mostrano esempi di varianti curiose rispetto allo schema degli eventi sopra descritto.
Una colonna ramificata, di aspetto curiosamente antropomorfo.
Collasso della colonna con conseguente formazione di due gocce sferiche.
La goccia inferiore è collegata alla superficie dell’acqua da un sottilissimo ma persistente peduncolo.
ATTREZZATURA E TECNICA DI RIPRESA: fotocamera reflex Nikon D200 e obiettivo AF-S VR Micro Nikkor 105 mm f/2,8 G.
Sensibilità 200/400 ISO, diaframma f/22, tempo di scatto sincro flash 1/250 di secondo, treppiede, flash SB-800 in modalità manuale, con potenza ridotta a 1/16 per ottenere una breve durata del lampo (1/10.900 di secondo stando alla tabella contenuta nel manuale di istruzioni), attivazione automatica wireless del flash SB-800 tramite il flash incorporato della fotocamera, pannello opaco (foglio di cartoncino) per l’attenuazione della luce ambiente, comando di scatto a distanza.
Il rubinetto dell’acqua era semichiuso in modo da produrre un gocciolamento continuo, con la caduta di una goccia ogni 1,5 secondi circa. Alcune gocce di detersivo per piatti hanno abbassato la tensione superficiale dell’acqua, favorendo la formazione della corona. Gli scatti venivano indotti tramite il comando a distanza, valutando a occhio e per tentativi il ritardo rispetto al momento di distacco della goccia, necessario per riprendere le varie fasi del fenomeno. Sono stati realizzati oltre 120 scatti. I primi sono serviti alla messa a punto della tecnica di ripresa, ma la maggior parte delle immagini ha mostrato configurazioni interessanti ai fini della ricostruzione della dinamica del fenomeno. Le fotografie qui presentate costituiscono una selezione tra molte equivalenti.